L’opera d’arte non è solo una espressione artistica,
ma un “vero e proprio luogo teologico”

La sala espositiva
del monastero è stata concepita prima di tutto con l’intento di preservare la memoria della provenienza delle opere dai tre monasteri domenicani il cui patrimonio è qui confluito. Contraddistinti da tre colori caratterizzanti ciascuno uno dei tre luoghi di provenienza, i tre nuclei di opere si distinguono sia per essere viva testimonianza della profonda spiritualità domenicana, sia per essere stati realizzati, nel corso dei secoli, da artisti che in modo ricorrente lavorarono per i monasteri dell’ordine domenicano, sia maschili che femminili.  Per questo il percorso inizia con l’esposizione delle opere provenienti dal monastero di Santa Maria della Neve a Pratovecchio dove, oltre al ritratto del fondatore, don Vincenzo Galassi, trovano spazio il ricordo delle prime monache entrate nel monastero nel 1567 e la tavola della Madonna della Neve, realizzata agli inizi del XV secolo per l’omonima Compagnia sulla quale venne fondato il monastero. In questo spazio, dove sono esposti anche tanti oggetti utilizzati nel corso dei secoli dalla comunità, è esposta anche una grande tela con la Visione mistica di San Francesco del pittore fiorentino Pier Dandini (1646-1712). Nella grande sala sottostante il percorso continua presentando altre opere del monastero di Pratovecchio, tra le quali una grande Annunciazione di scuola fiorentina degli inizi del Seicento e una Santa Caterina da Siena in preghiera della bottega di Cristofano Allori (1577-1621).

Di seguito sono esposte le opere provenienti dal monastero fiorentino di San Domenico del Maglio-Querceto che costituiscono il nucleo più cospicuo della raccolta. Tra queste si segnalano una Sacra Famiglia di Ridolfo del Ghirlandaio (1483-1561) inserita in una ricca cornice rococò in legno intagliato e dorato, la grande tela con la Madonna del Patrocinio delle domenicane del Maglio di Antonio del Ceraiolo (not.1520-1538), due tele con Cristo e la samaritana e l’Apparizione di Cristo Risorto alla Maddalena attribuite a Benedetto Veli (1564-1639), una piccola tela con la Visione di San Domenico di Filippo Tarchiani (1576-1645), una Santa Rosa da Lima riferibile all’ambito di Lorenzo Lippi (1600-1665) e alcune opere riconducibili a Francesco Curradi (1570-1661) ed alla sua bottega, tra cui una suggestiva Orazione nell’orto. Il percorso prosegue con le opere provenienti dal monastero di Santa Maria Novella di Arezzo tra le quali si distinguono le opere di due pittori aretini – una Visione di San Giacinto di Teofilo Torri (1554 – 1623) e un’Annunciazione di Salvi Castellucci (1608-1672) – ed un suggestivo Crocifisso ligneo cinquecentesco. Infine, una serie di vetrine accolgono le testimonianze più significative tra gli arredi liturgici provenienti dai tre monasteri: tra di esse spiccano il reliquiario di San Domenico realizzato in argento dal celebre orafo Bernardo Holzmann (not. 1687 – 1728) per il monastero del Maglio e il reliquiario del Crocifisso della Beata Lucia da Narni della prima metà del XVII secolo, proveniente dal monastero di Arezzo cui, a sua volta, era giunto dal monastero di San Domenico a Viterbo. Dottoressa Lucia Bencistà

“Questo mondo nel quale viviamo ha bisogno di bellezza per non sprofondare nella disperazione. La bellezza, come la verità, è ciò che infonde gioia al cuore degli uomini, è quel frutto prezioso che resiste al logorio del tempo, che unisce le generazioni e le fa comunicare nell’ammirazione. (…) Ricordatevi che siete i custodi della bellezza nel mondo” (san Paolo VI). Ci si potrebbe chiedere a cosa serve la Bellezza, l’arte, quando molto spesso sembra che il mondo possa avere ben altre esigenze. Eppure la Bellezza è un bisogno, non è qualcosa di cui si possa fare a meno. Ed è proprio il Bello, in ogni sua forma, che può donare un messaggio di speranza, rimandando a ciò che di più profondo c’è nel cuore dell’uomo e risvegliando la sua sete di Assoluto, di infinito. “L’arte è fatta per turbare, mentre la scienza rassicura”, diceva l’artista G.Braque. Ed è così: mentre la scienza cerca risposte, l’arte suscita domande e spinge ad andare al cuore delle cose, alla loro essenza. Soprattutto, le opere d’arte sacra, non sono mai solo una pura espressione artistica, ma contengono in sé una ispirazione, una intuizione che trae la sua origine e la sua fonte nel cuore dell’uomo, dove si nasconde quella scintilla creativa che, come dice san Giovanni Paolo II, è una scintilla divina. Per questo l’opera d’arte non è solo una espressione artistica, ma un “vero e proprio luogo teologico” (M.D.Chenu op).
La sala espositiva non è quindi solo espressione artistica, ma diventa anche luogo teologico di predicazione e trasmissione del messaggio evangelico, così come ci viene richiesto dalla nostra spiritualità domenicana: contemplare e portare agli altri il frutto di questa nostra contemplazione.
Custodire per trasmettere. Sono opere, quindi messaggi, che noi stesse abbiamo ricevuto, e che a nostra volta vogliamo trasmettere.

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